DAL TRANSFER PRICING ALL’AIUTO DI STATO

Una chiave di lettura “tecnica” della sentenza del 10 settembre della Grand chamber sul caso Apple, non del tutto inaspettata in dottrina nonostante talune pretese lacune istruttorie che sembrava viziassero la decisione della Commissione, è quella della conferma della rilevanza del principio di libera concorrenza (arm’s length) nella lettura dell’articolo 107 Tfue e della funzione anti-elusiva che può assumere tale disposizione.

Essa, come noto, compone due differenti principi ossia, da un lato, il divieto di aiuti di Stato ed i valori di fondo su cui lo stesso si basa, e, dall’altro, la sovranità fiscale degli Stati membri, principi di cui dovrebbe assicurare un equilibrato bilanciamento. Senonchè la tendenza più recente nella sua prassi applicativa, in effetti, parrebbe quella di privilegiare i valori tutelati dal suddetto divieto, pervenendosi di fatto, mercè il combinato agire di Commissione e Corte di giustizia Ue, ad una armonizzazione dei sistemi fiscali dei Paesi membri.

Ne è una conferma la sentenza in questione. La vicenda è nota. Due società irlandesi del gruppo Apple (di seguito “Asi” e “Aoe”), al cui vertice si rinveniva la Apple Inc. statunitense, hanno fruito di un particolare regime per cui le società registrate in Irlanda, al verificarsi di certe condizioni, avrebbero potuto non essere considerate ivi residenti ed essere trattate fiscalmente come stabili organizzazioni delle corrispondenti controllanti (case madri) statunitensi, a loro volta titolari del diritto d’uso di proprietà intellettuale o PI (licenze).

Per il tramite di due ruling preventivi, rispettivamente del 1991 e del 2007, le autorità fiscali irlandesi si sono accordate con il gruppo nel senso che i proventi conseguiti, siccome riferiti alla gestione della PI, fossero imputati, sulla base del metodo di transfer pricing cosiddetto del Tnmm, per la gran parte alle case-madri (società “apolidi”) statunitensi in ragione delle funzioni dalle stesse svolte ed in misura assai ridotta alle stabili organizzazioni irlandesi.

Con la decisione Ue 2017/1283 del 30 agosto 2016, come noto, la Commissione UE, muovendo dalla c.d. dottrina Verstager, ha ritenuto che i ruling in questione abbiano conferito un vantaggio “selettivo” ad Apple e che, di conseguenza, vi sia stata una violazione dell’articolo 107 Tfue. Ciò argomentando dalla prevalenza del principio di libera concorrenza sulla normativa domestica irlandese, principio ricavabile direttamente dall’articolo 107 Tfue, siccome interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea. La vincolatività del principio in esame, secondo la Commissione, decorrerebbe così dal 1973, anno di adesione dell’Irlanda all’Unione Europea e la sua corretta applicazione nella specie non avrebbe consentito di pervenire alla ripartizione dei profitti contemplata dai ruling non avendo le case madri statunitensi alcuna capacità operativa.

Su ricorso sia dell’Irlanda (causa T-778/16) che delle società irlandesi (causaT-892/16), con sentenza del 15 luglio 2020 la suddetta decisione è stata annullata dal Tribunale Ue (settima Sezione ampliata). Ed invero, pur chiarendo che il principio di libera concorrenza non necessita di alcun fondamento domestico o convenzionale per poter essere invocato quale parametro di giudizio da parte della Commissione, in quanto principio radicato nello stesso diritto dell’Unione ed in specie nell’articolo 107, paragrafo 1, Tfue, il Tribunale si è espresso per l’annullamento per non avere, la Commissione, provato la sussistenza nè delle condizioni per attribuire tutte le funzioni aziendali (e i conseguenti utili) alle società irlandesi (approccio “per esclusione”), nè di un vantaggio fiscale vietato.

E veniamo dunque alla sentenza della Grand chamber che ha annullato la sentenza del Tribunale.

In disparte il tema dell’interpretazione della decisione della Commissione, oggetto della prima censura della prima parte del primo motivo di impugnazione, in relazione al quale la Corte ritiene erri il Tribunale quanto alla qualificazione dell’approccio della Commissione in termini di “esclusione” (paragrafi da 117 a 133), pare a chi scrive che la più importante ratio decidendi attenga al ruolo della istruttoria circa le funzioni rispettivamente esercitate dalla singola casa madre e dalla rispettiva stabile organizzazione (le società Asi e Aoe). La Corte, infatti, accede alla tesi della Commissione per cui il Tribunale abbia erroneamente fatto riferimento ad alcuni elementi di prova (in particolare alcune procure) nell’attribuire alle stabili organizzazioni irlandesi la gestione delle licenze (v. paragrafi da 182 a 193).

Afferma inoltre la Corte (par. 220) che correttamente la Commissione ha lamentato l’erronea considerazione da parte del Tribunale delle funzioni esercitate dalla Apple Inc. e, nell’accogliere la seconda censura della seconda parte del primo motivo d’impugnazione, afferma che dalla sentenza impugnata risulta “che la valutazione del Tribunale secondo cui la Commissione sarebbe incorsa in un errore nel ritenere che le succursali dell’ASI e dell’AOE esercitassero «funzioni significative del personale» in relazione alla PI del gruppo Apple, si basa in gran parte su un esame delle funzioni esercitate a livello della Apple Inc., che esso stesso ha considerato non pertinenti nel caso di specie, secondo la sua interpretazione del diritto irlandese” (paragrafo 221).

Medesima sorte (nel senso di adesione alla stessa) è riservata dalla Corte alla tesi della Commissione, rilevante quanto alla selettività dei ruling contestati, secondo cui (par. 310) la differenziazione in materia di trattamento fiscale degli utili dell’ASI e dell’AOE da essi derivante “non fosse giustificata dalla natura o dalla struttura generale del sistema fiscale irlandese”; né la Commissione è incorsa in errori nel ritenere (ciò che rileva ai fini della qualificazione dell’aiuto come statale o realizzato con risorse statali), “che l’Irlanda avesse rinunciato a un gettito tributario da parte dell’Asi e dell’Aoe nella misura in cui i ruling fiscali contestati approvano metodi di attribuzione degli utili che conducono a un risultato che non avrebbero accettato imprese distinte e autonome operanti a condizioni di mercato” (così il par. 320).

Queste dunque, in estrema sintesi, le ragioni “tecniche” dell’annullamento in cui emerge la centralità dell’analisi funzionale nella ripartizione del reddito delle multinazionali e l’utilizzo del transfer pricing quale strumento di pianificazione fiscale che può essere attratto nell’orbita applicativa del divieto di aiuti di Stato. Non si può, tuttavia, escludere che alla radice del precedente vi siano contingenti fattori geopolitici che oggi determinano l’instabilità delle relazioni internazionali e tra queste quelle Ue/Usa.

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