GOVERNANCE E COMPETITIVITà: IL RAPPORTO DRAGHI SEMINA SU UN CAMPO GIà ARATO

Il “Rapporto sul futuro della competitività europea” consegnato da Mario Draghi alla Presidente von der Leyen è un passaggio importante. Per il momento in cui arriva, e, cioè, l'avvio dell'attività della nuova Commissione. Per il suo mettere a fuoco in una visione di insieme questioni europee che si trascinano da troppo tempo e per il suo articolare, attorno ad esse, specifiche “missioni” di intervento. Per il taglio concreto delle proposte e per il suo declinearle in chiave settoriale.

Più in generale, la sua importanza, anche in vista della fase attuativa che ora si apre, sta anche nell’essere pienamente “nell’aria del tempo”, nel suo poggiare su argomenti ormai consolidati nel discorso europeo. Arriva, insomma, in una fase in cui non solo parlare di industria e politica industriale non è piú tabù, ma in cui l’Europa ha cominciato a farlo con parole d’ordine sempre piú comuni: quelle che si ritrovano nel Piano industriale del Green Deal e in quello della Difesa; nel Chips Act e nel Critical Raw Materials Act dedicato alle materie prime critiche; nella legislazione sulle tecnologie ad emissioni zero ed in altri tra gli atti adottati negli anni più recenti.

Quelli del Rapporto sono semi, insomma, che arrivano su un campo già arato.

Tra i moltissimi ‘semi’ piantati da questo corposo documento - 400 pagine, nel suo complesso - ce ne sono alcuni su cui, sino ad oggi almeno, c’è stata forse minore attenzione da parte dei commentatori: quelli relativi alla prospettiva istituzionale. Ed invece il rapporto tocca questa dimensione con la consapevolezza di chi sa che ogni processo di crescita economica ha qui un primario riferimento. E di chi, guardando alla dimensione europea, sa che è e sarà sempre più decisivo: ‘fare le cose insieme’. Un’indicazione imperativa in ambiti come le grandi sfide tecnologiche, le materie prime, la difesa e che ‘corre’ lungo tutto il rapporto. A partire dalla sua introduzione, in cui è lo stesso Draghi ad indicare che all’Europa manca un focus strategico condiviso, un quadro finanziario effettivamente comune, capacità di coordinamento: tutti temi che, a ben guardare, hanno nella dimensione istituzionale il loro dato più qualificante.

Precisamente in quest’ottica sono diverse le proposte del Rapporto da sottolineare. 

Vi è in primo luogo, quella di un “Quadro di coordinamento competitivo” diretto ad assicurare un’effettiva azione congiunta in aree prioritarie per la competitività UE e che affiancherebbe un Semestre Europeo a questo punto limitato alle sole dimensioni di finanza pubblica. Un’indicazione che prevederebbe una definita cornice politica alla dimensione industriale, con l’individuazione di priorità condivise ed approvate dal Consiglio europeo all’inizio di ogni ciclo europeo e adeguati strumenti di attuazione. 

Nell’impostazione proposta da Draghi, ed è il secondo aspetto da porre in rileievo, questo “Quadro di coordinamento competitivo” sarebbe declinato, infatti, per ogni settore strategico, da un “Piano di Azione per la competitività”, che avrebbe obiettivi misurabili, strumenti di finanziamento, una governance aperta ai diversi stakeholders e capace di adattarsi alle specifiche esigenze settoriali.

Un terzo punto da segnalare è il rafforzamento che si propone delle forme di collaborazione industriale pubblico-privata. E così gli Important Projects of Common European Interest - i c.d. IPCEI, uno tra gli strumenti di politica industriale europea che ha avuto maggior successo negli ultimi anni - dovrebbero vedere ampliato il proprio spettro di azione: dal riferirsi alle sole iniziative che configurano una ‘rottura’ dell’innovazione riguarderebbero anche casi in cui la collaborazione industriale sia funzionale ad ‘allargare’ l'innovazione. Accanto ad essi si suggerisce la possibilità di “Progetti Industriali sovrastatali” avviati da gruppi di singoli Stati interessati ed a cui sarebbero riconosciute specifiche dotazioni in un bilancio europeo che si vuole sempre più concentrato sui beni pubblici necessari alle missioni strategiche, con la previsione di un “Pilastro competitivitá” direttamente legato alle priorità strategiche europee. 

E, ancora, hanno preciso rilievo istituzionale le indicazioni che vanno nel senso di estendere il piú possibile il meccanismo del voto qualificato, cosí da permettere decisioni più rapide su temi afferenti alla competitività europea, e la previsione di un nuovo vicepresidente della Commissione responsabile alla semplificazione, con l’obiettivo di vigilare sulla definizione di regole più efficaci e meno onerose, in particolare per le pmi.

Dell’importanza di dare attenzione alla questione istituzionale ce lo dicono le vicende più recenti della storia economica europea. Spesso i tentativi di dotarsi di una strategia comune - pensiamo a quella avviata a Lisbona nel 2000 - si sono fermati proprio per la difficoltà di trasmissione degli indirizzi da Bruxelles lungo tutta la filiera amministrativa. Anche per questo è bene che il Rapporto Draghi abbia qui uno dei punti qualificanti e divenga, anche su questo specifico aspetto, oggetto di un attento lavoro: che dovrà svolgersi a Bruxelles e, trattando di governance, anche nelle altre capitali europee.

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