DUBAI OPERA, UN ITALIANO DIETRO IL RECORD DI PRESENZE. «SERVE CORAGGIO NELLE SCELTE»

«Dopo quasi due anni alla guida di questa istituzione, che rappresenta un unicum nel panorama internazionale, poiché si tratta di un progetto culturale interamente di proprietà privata, in mano al gruppo emiratino Emaar, posso affermare che un teatro può generare profitto ed essere un ottimo motore di economia e valore». Paolo Petrocelli, 40 anni, è da inizio 2023 il sovrintendente della Dubai Opera House, dal 2016 il più grande centro di arti performative degli Emirati, con un Auditorium di oltre 2mila posti e un programma che ospita ogni stagione le produzioni di alcune tra le più importanti istituzioni culturali del mondo, che qui portano i loro spettacoli, balletti e concerti. Lo scorso anno anche , in occasione di COP 28 proprio a Dubai, anche la Scala di Milano e l’Opera di Roma hanno portato qui, rispettivamente, la propria orchestra e il proprio corpo di ballo, riscuotendo grande successo e contribuendo a diffondere la cultura italiana davanti a un pubblico internazionale di oltre 30mila persone.

Romano, di origine, violinista, musicologo e manager culturale, Paolo Petrocelli è stato membro del Consiglio di amministrazione del Teatro dell’Opera di Roma, della Fondazione Accademia Musicale Chigiana di Siena e del Conservatorio di Musica Benedetto Marcello di Venezia. Nal 2023 è stato inoltre nominato Young Global Leader dal World Economic Forum, che ogni anno seleziona 100 personalità under 40 tra le più influenti a livello globale.

Alla guida della Dubai Opera House (che proprio oggi inaugura la nuova stagione 2024-2025 con oltre 50 produzioni internazionali) è riuscito nella scorsa edizione a raggiungere il record di biglietti venduti, con oltre 250mila spettatori per un calendario di 100 produzioni e 200 spettacoli, dalla lirica al jazz al rock, dal balletto agli spettacoli circensi, passando per la musica araba la world music.

Una proposta variegata che risponde a due esigenze fondamentali: quella della proprietà, privata, che è orientata al business e quindi necessità il ritorno economico del progetto culturale; e quello di una comunità molto globale e giovane, quella di Dubai, dove convivono 200 diverse nazionalità. «C’è un tema di fondo dell’innovazione, nel mondo della cultura e dello spettacolo, che noi affrontiamo in maniera forse più naturale e spontanea di quanto accada in Europa e in Italia, perché viviamo in un contesto altamente proiettato nel futuro - osserva Petrocelli -. Questo ci dà una maggiore serenità nello sperimentare e andare incontro a una esigenza del pubblico più legata al presente». Un altro elemento interessante è del resto la composizione del pubblico, non solo proveniente da tutte le nazioni, ma anche molto giovane: oltre il 40% degli spettatori ha meno di 40 anni.

Un vantaggio che comporta anche delle sfide complesse, ovvero trovare un equilibrio tra qualità artistica e accessibilità allo spettacolo: «Il rischio di un modello molto orientato al ritorno economico è quello di essere sbilanciato verso una dinamica estremamente commerciale - aggiunge il sovrintendente -. Il mio impegno è trovare l’equilibrio tra un approccio business e commerciale e una sensibilità europea».

«Nonostante il termine “Opera” nel nostro brand, non siamo un teatro lirico, ma un centro di arti performative. Se dovessi cercare un parallelo con l’Italia, citerei forse il Parco della Musica di Roma», dice Petrocelli. Ma i paralleli si fermano qui: Dubai è un unicum come città e come popolazione, a livello globale, e altrettanto unico è il modello gestionale ed economico della Dubai Opera House, che si basa su tre elementi.

Il primo elemento è artistico e culturale in senso stretto, rappresentato dagli spettacoli che la Dubai Opera House presenta, con la precisazione che, al momento, non si tratta di un teatro di produzione, ma ospita le produzioni delle più importanti istituzioni internazionali, coprendo tutto lo spettro dell arti performative.

Il secondo elemento è l’attività di affitto degli spazi, per generare ulteriore valore economico, ma anche per potenziare l’offerta culturale e artistica, quindi ospitando le attività di realtà legate al mondo dello spettacolo e investendo investendo per portare qui i progetti di grandi artisti. Terzo e ultimo elemento del modello di business è ospitare eventi privati o istituzionali di vari ambiti, tra cui il lusso e la moda. «Tutto questo contribuisce a generare ulteriore ritorno economico e a posizionarci come una delle organizzazioni di riferimento per la cultura, ma anche l’intrattenimento, nel mondo arabo», spiega il sovrintendente.

Sulla possibilità di portare questo modello in Italia, Petrocelli è cauto: «Non trovo corretto un approccio copia-incolla: prima di tutto occorre interpretare le aspettative della propria comunità, ascoltandone le esigenze e confrontandosi con tutti i suoi componenti, dal pubblico alle istituzioni, ai possibili sponsor privati - dice -. Una delle maggiori sfide dei nostri teatri in Italia è convincere gli sponsor a sostenerne le attività: questo dovrebbe spingere a fare scelte coraggiose, innovando le decisioni delle nostre istituzioni in tema di politiche culturali. Non è utile secondo me andare da uno sponsor per convincerlo a partecipare a uno specifico progetto: occorre rimettere al centro le idee e la visione di quale tipo di città culturale vogliamo creare. Mi spiace non sentire, nel dibattito europeo e italiano, quale sia il progetto culturale che vogliamo creare, quale la visione. Forse stiamo mancando un’opportunità di ritrovare ruolo di leadership nelle politiche culturali».

Tuttavia, ammette Petrocelli, «Gestire una grande fondazione è anche un atto di grande responsabilità: non è semplice attivare processi di innovazione e spesso c’è una grande resistenza anche dall’interno. Credo però che serva, con coraggio, portare avanti tentativi di cambiamento non distruttivi, non per sostituire a tutti i costi il vecchio con il nuovo, ma creando percorsi di trasformazione. Invece mi sembra che in Europa e in italia ci siamo fermati in una sorta di plateau, in cui le cose più o meno funzionano, ma in una prospettiva di medio-lungo termine questo non consentirà a tutti i teatri, a tutte le orchestre e a tutti i corpi di ballo di sopravvivere in modo sostenibile».

Anche le nuove generazioni devono avere maggiore coraggio nell’esprimere le loro idee per contribuire a questo dibattito: «C’è grande critica verso le generazioni senior - conclude -. E in parte condivido queste critiche. Tuttavia vedo anche una certa timidezza in quelle nuove nel proporre modelli alternativi e una mancanza di collaborazione».

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