CRISI DEMOGRAFICA, METTERE I SOLDI NON BASTA: DIAMO ALLE DONNE LA POSSIBILITà CONCRETA DI ESSERE MADRI

In previsione della legge di bilancio, Giancarlo Giorgetti ha gettato sul piatto della spesa la spada di Brenno di sei miliardi per interventi a favore della natalità e della famiglia. Si tratterebbe – a stare alle prime indiscrezioni – di misure di carattere fiscale con un occhio alla problematica del quoziente familiare e alla selezione delle detrazioni fiscali, tenendo conto dei differenti carichi familiari. Staremo a vedere.

La denatalità

È importante, però, che vi sia, nel dibattito politico, una consapevolezza diffusa sulla crisi demografica (denatalità + invecchiamento): uno squilibrio che – come ha detto di recente il Governatore Fabio Panetta “rischia di avere effetti negativi sulla tenuta dei sistemi pensionistici, sul sistema sanitario, sulla propensione a intraprendere e a innovare, sulla sostenibilità dei debiti pubblici. Per contrastare questi effetti, è essenziale rafforzare il capitale umano e aumentare l’occupazione di giovani e donne, in particolare nei paesi – tra cui l’Italia – dove i divari di partecipazione al mercato del lavoro per genere ed età sono ancora troppo ampi’’. Panetta, poi, ha segnalato l’utilità di “misure che favoriscano un afflusso di lavoratori stranieri regolari’’ da gestire in maniera coordinata all’interno dell’Unione, bilanciando le esigenze produttive con gli equilibri sociali e rafforzando l’integrazione dei cittadini stranieri nel sistema di istruzione e nel mercato del lavoro. Siamo arrivati ad un punto che rischia di essere di non ritorno anche per quanto riguarda l’occupazione.

La crisi sul versante dell’offerta di lavoro non è solo una pur grave questione di competenze inadeguate, ma anche di numeri, di persone in carne ed ossa che non sono disponibili a rimpiazzare chi esce dal mercato del lavoro (magari troppo presto rispetto alle esigenze) per la banale circostanza che non sono nate e cresciute. Ma è sufficiente un maggiore stanziamento di risorse per risollevare il declino inesorabile della filiera della riproduzione sociale? Come la mettiamo con i valori, le culture che si sono consolidate negli ultimi decenni, anche tra le famiglie degli immigrati? Sono consapevole di rischiare la crocifissione in sala mensa ma mi domando se è onesto parlare di denatalità senza neppure menzionare, tra le tante cause, il tema della Ivg. I demografi ne tengono conto, ma anche gli scienziati “tengono famiglia’’ e non si avventurano con disinvoltura su di un terreno minato.

Il punto

Lo ha fatto in un articolo su il Foglio (La crisi della natalità, le ‘mamme del mai’’ e lo spirito originario della 194’’ del 20 maggio 2024) Gian Carlo Blangiardo, già presidente dell’Istat. Il demografo ha coniato una definizione: “le mamme di mai, ovvero tutte quelle bambine non nate che oggi avremmo potuto conteggiare tra le donne in età fertile e dalle quali avremmo verosimilmente ricavato un utile e sostanziale contributo alla bassa natalità che ci preoccupa’’. E proseguiva Blangiardo: “Se infatti guardiamo alle statistiche sulle interruzioni volontarie di gravidanza, possiamo rilevare come dall’avvio della legge 194 si siano registrati in Italia circa 6 milioni di interventi, a partire dai quali – stimata la componente femminile e tenuto conto delle sue corrispondenti probabilità di sopravvivenza sino ad oggi – si valuta che al 1° gennaio 2023 ci sarebbero state circa 2,2 milioni di donne 15-43enni in più. Il numero delle potenziali mamme si sarebbe così elevato a 13,8 milioni e, applicando loro i più recenti valori dei tassi specifici di fecondità per età della donna, si calcola che avrebbero dato luogo nel 2023 a 490 mila nati. Di fatto, invece delle 379 mila nascite segnalate da Istat in via provvisoria, nel bilancio demografico dello scorso anno avremmo sfiorato quel mezzo milione di nati che viene visto dai fautori della ripresa della natalità come obiettivo minimo da raggiungere. Purtroppo – continuava il demografo – a conti fatti solo i figli delle madri non nate sono stimabili in 100mila unità all’anno’’.

L’aborto clandestino

Non si tratta di mettere in discussione la legge n.194 del 1978, ma di applicarla correttamente perseguendo l’obiettivo allora indicato dal legislatore della “maternità responsabile’’. L’Ivg, infatti, non fu riconosciuta come un diritto soggettivo assoluto, ma come il rimedio ad un male peggiore, l’aborto clandestino, il flagello che ha accompagnato l’esistenza della donna durante i secoli. Tornando al progetto di Giorgetti, se si vuole promuovere la natalità – nell’ambito delle politiche a sostegno della famiglia – occorre passare da una politica intensiva (ovvero iniziando la protezione sociale ed economica a partire dal terzo figlio: una politica che ricorda quella fascista degli 8 milioni di baionette) ad interventi estensivi che incentivino, a tutto campo, la procreazione fin dal primo figlio, che ora avviene mediamente ad un’età superiore ai 32 anni, quando il concepimento ad un’età inferiore non solo sarebbe più naturale, ma agevolerebbe anche l’ulteriore nascita di un figlio. Il cambiamento dovrebbe consistere nell’offrire alle donne in difficoltà un’alternativa concreta rispetto al ricorso all’Ivg, senza coartarne la volontà, ma senza lasciarle sole nello scegliere la via (più sbrigativa anche per lo Stato) della soppressione di una creatura che ha in sé quella vita di cui la società ha bisogno e che è già presente tra di noi e che invece viene sprecata.

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