COSA C'è DIETRO IL BOOM DI NVIDIA: IL CASO ANTITRUST

(a cura di Evaristo Maria Fabrizio)

La notizia dell'istruttoria antitrust avviata nei confronti di Nvidia dal Dipartimento di Giustizia americano porta nuovamente l'attenzione sulle dinamiche concorrenziali nel mercato IT, caratterizzato dalla presenza di pochi e grandi operatori (Big Tech) e dalla necessità di enormi investimenti in ricerca e sviluppo finalizzati a produrre soluzioni innovative per supportare le più recenti tecnologie, soprattutto in tema di Intelligenza Artificiale.

In questo contesto si inseriscono i sospetti di abuso della posizione dominante sul mercato da parte di Nvidia: con la rapida ascesa delle IA, infatti, la richiesta di GPU (schede che in precedenza erano utilizzate prevalentemente per applicazioni grafiche, nel settore del gaming) prodotte dall’azienda è notevolmente incrementata, così come l’impiego dell’ambiente software CUDA (esistente da quindici anni e quindi familiare per gli operatori), supportato esclusivamente dai chip dell’Azienda che, di fatto, in tale settore rappresenta allo stato un “quasi-monopolista”. Le indagini antitrust avviate mirano, quindi, a verificare se questa situazione di dominio sul mercato sia ascrivibile esclusivamente a meriti imprenditoriali ovvero se celi, al contrario, pratiche anticoncorrenziali finalizzate ad escludere o limitare l’operatività di altri competitor (come Intel, AMD, Broadcomm e Qualcomm).

Il sospetto è che l’azienda leader del mercato stia violando i divieti della normativa antitrust che (tanto negli Stati Uniti, quanto soprattutto in Europa) impedisce alle imprese di sfruttare la propria posizione dominante per alterare le dinamiche concorrenziali.

Le norme antitrust non vietano di detenere una posizione monopolistica, ma colpiscono chi sfrutta tale condizione (abusandone) per imporre direttamente o indirettamente prezzi d'acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque; limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatore, oltre a diverse altre fattispecie.

Come chiarito dalla giurisprudenza europea le pratiche commerciali abusive sono tali se, oltre a comportare una distorsione anche solo potenziale della concorrenza, non siano bilanciate da effetti positivi per i consumatori. Si prescinde, invece, dall’esistenza di una volontà “di escludere i propri concorrenti ricorrendo a mezzi o risorse diversi da quelli su cui si impernia una concorrenza basata sui meriti”.

Restando al contesto europeo, le autorità garanti degli Stati membri, quindi, per sanzionare Nvidia dovranno accertare che le pratiche commerciali attenzionate e le caratteristiche dei prodotti offerti (in particolare GPU e CUDA) oltre a non essere giustificate dal punto di vista tecnico, non si sono risolte in vantaggi a beneficio dei consumatori, anche in termini di efficienza delle soluzioni sviluppate e che, in definitiva, abbiano sortito o possano sortire esclusivamente effetti anticoncorrenziali.

Qualora le indagini antitrust fornissero sufficienti elementi per l’avvio di un’istruttoria, le Autorità garanti degli Stati membri (come anche la Commissione europea) potrebbero formalmente contestare a Nvidia gli addebiti qui sintetizzati, in caso censurando anche le recenti acquisizioni dell’Azienda e gli investimenti in provider di servizi cloud imperniati sull'IA, come CoreWeave o Run:ai (che potrebbero determinare una ancor maggiore dipendenza del settore dal software CUDA e dalle GPU di Nvidia).

Per l’azienda si aprirebbe, quindi, la strada della transazione, unico strumento in grado di evitare l’irrogazione delle pesanti sanzioni: in tal caso Nvidia dovrebbe senz’altro offrire una soluzione per ridurre la dipendenza del settore dai propri dispositivi, oltre che il pagamento di una somma di denaro in luogo della sanzione pecuniaria.

In ogni caso, l’unica soluzione che sembrerebbe allo stato presagibile include l’apertura dell’ambiente CUDA, in modo da garantirne l’operabilità in condizioni paritarie su chip prodotti da altre aziende. Si tratta di una misura simile a quella impiegata nei confronti di Microsoft prima (che ha dovuto aprire la propria interfaccia di programmazione di Internet Explorer) e di Apple poi (obbligata a garantire l’accesso all’App store a tutti i produttori di app).

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