CORTE UE ANNULLA MULTA DA 1,5 MILIARDI A GOOGLE

Per l’Antitrust Ue arriva una bocciatura dalla Corte Ue, pochi giorni dopo invece il successo finale sul fronte delle imposte di Apple in Irlanda e del servizio di comparazione annunci di Google. E’ ancora quest’ultima società in gioco, ma per un altro caso. E cioè la multa da 1,5 miliardi di euro che la Commissione Europea ha inflitto nel marzo 2019 al colosso di Mountain View per la piattaforma di annunci AdSense, e cioè il servizio di Google che genera testi pubblicitari per siti Internet terzi sulla base delle ricerche che vengono effettuate dagli utenti sulle loro pagine Web.

Secondo la Commissione, dal 2006 Google, che domina il 70% del mercato Ue in questione, nei suoi contratti prevedeva una clausola di esclusiva, vietando ai siti terzi di mostrare sulle proprie pagine i risultati di ricerca di annunci pubblicitari prodotti da servizi concorrenti di AdSense. A partire dal marzo 2009 ha poi sostituito l'esclusiva con le clausole di posizionamento "premium", e cioè imponendo ai siti terzi di riservare la spazio più redditizio delle loro pagine Web ai risultati pubblicitari Google, impendendo così ai concorrenti di inserire i propri messaggi pubblicitari collegati alle ricerche negli spazi più visibili e cliccati. Infine, sempre dal marzo 2009, afferma ancora la Commissione, Google ha vietato ai siti di modificare senza sua autorizzazione il modo in cui sono visualizzati i messaggi pubblicitari dei concorrenti. Allora la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager affermò che "tale condotta illegale si è protratta per oltre dieci anni, negando ad altre società la possibilità di competere sulla base dei meriti e di innovare e ai consumatori di godere dei vantaggi della concorrenza".

La Corte generale Ue afferma in una sentenza che, "pur confermando la maggioranza delle conclusioni della Commissione, conclude che quella istituzione ha commesso errori nella valutazione sulla durata delle clausole in questione, nonché sul mercato coperto da queste nel 2016". Secondo la Corte, "la Commissione non ha potuto dimostrare che le tre clausole da essa identificata costituiscono, ciascuna, un abuso di posizione domanda, e che costituiscono insieme una singola e continua violazione dell’Articolo 102 del trattato Ue". In particolare, la Corte "ritiene che la Commissione non ha dimostrato che le clausole in questione siano state capaci di impedire agli utenti di rivolgersi a intermediari concorrenti di Google e che abbiano potuto impedire ai propri concorrenti di accedere a parti significative del mercato dell’intermediazione della ricerca online di annunci nell’area economica europea (Ue più Islanda, Norvegia e Liechtenstein ndr), e dunque che le clausole siano state in grado di avere quell’effetto restrittivo citato nella decisione contestata".

Nel complesso, "la Corte generale afferma che la Commissione non ha dimostrato che le clausole in questione abbiano avuto, primo, la possibilità di ostacolare l’innovazione e, secondo, aiutato Google a mantenere e rafforzare la sua posizione dominante nei mercati nazionali per la ricerca online di annunci e, terzo, che abbiano potenzialmente danneggiato i consumatori". Per questo "la Corte generale annulla la decisione della Commissione nella sua interezza".

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